Ben cinque anni sono passati dall’ultima architettura high end di AMD (Bulldozer), e un’analisi dell’architettura non può che essere intrisa di aspettative lunghe e dolorose, con reality check particolarmente bruschi nel corso degli ultimi lanci di AMD. Bulldozer, Steamroller, Piledriver e Excavator, come architetture, hanno fallito efficacemente nel ravvivare la speranza in una competizione di qualsiasi sorta con il colosso che Intel è diventato. Allo stesso tempo, il progetto APU Fusion incalzato da AMD prendeva batoste dopo batoste proprio per la mancanza di potenza grezza nel lato CPU di tali unità All-In-One di calcolo.
Nonostante l’enorme sfida che si è presentata davanti, AMD ha perseverato e ha avuto un momento di gioia durante l’ingegnerizzazione di una tecnologia di core che gli avrebbe fatto fare un enorme salto di qualità (e potenza), facendola tornare estremamente competitiva. Ecco oggi che non potrei essere più felice di parlarvi di quest’architettura che, a mio onesto e modesto avviso, è valsa la pena di questi lunghi ma tormentatissimi anni.
Con la prima bozza di progetto di Zen, circa quattro anni fa, AMD aveva impostato un obiettivo incredibilmente ambizioso per il proprio lavoro, ovvero aumentare le IPC (Instructions Per Clock, in soldoni la potenza grezza di un transistor) rispetto ad Excavator di circa il 40%. Potreste essere sconvolti da un numero del genere, ma considerando che Excavator era basata su Bulldozer, un’architettura vecchia di cinque anni al momento del lancio di Exc, un salto del 40% in cinque anni è più che plausibile (e fattibile) nel mondo dell’elettronica.
Ovviamente, un boost del 40% per Excavator, in proporzione a cosa Intel era ed è capace di scatenare com Broadwell (e BDW-E), Skylake e Kaby Lake avrebbe significato mettere i propri processori in diretta competizione con alcune delle migliori CPU sul mercato. Ciononostante, col passare del tempo, c’è stata la graduale consapevolezza che Zen potesse fare anche di più del traguardo prefissato. Il risultato finale, infatti, è un aumento di IPC di ben il 52% rispetto ad Excavator (e a dirla tutta, quest’aumento è basato su SYSMark, benchmark teorico non proprio perfetto. L’aumento effettivo di IPC è più vicino al 60%), abbastanza per superare alcune CPU del team Blu e per instillare nella mente di Intel il dubbio su come procedere per le prossime generazioni di Core i.
Prima ancora del lancio, c’è stata un po’ di confusione nello schema dei nomi dei nuovi processori AMD, quando in realtà è tutto abbastanza semplice. Ryzen è il nome della famiglia di processori che fanno affidamento all’architettura Zen. Il 7 sta a indicare il segmento, con (per il momento) Ryzen 7 a configurarsi come proposta high end dell’azienda, con CPU 8C/16T; altre CPU appartenenti a Ryzen 5 (rilasciate pochi giorni fa) presenteranno varianti a 4C8T e 6C12T a prezzi ancor più competitivi.
Continuando con l’esempio del 1700X, con 1xxx a rappresentare la generazione e il 7 a rappresentare il livelllo di prestazioni, AMD al lancio ha presentato tre CPU serie 1700 e 1800 con “tier” inferiori lanciate pochi giorni fa e tier ancora inferiori (ed economiche) in attesa durante il corso del 2017. Il doppio zero alla fine viene usato come spazio addizionale nel caso ci siano lanci di versioni più veloci nel futuro prossimo.
L’ultima lettera (o la mancanza di essa) in quest’equazione è forse la più importante. Una “X” significa che il processore utilizza la massima implementazione dell’XFR (eXtended Frequency Range) di AMD, mentre la mancanza di una lettera denota un processore desktop per così dire “standard”. Ma non finisce qui: “G” significa che il processore ha una GPU integrata, mentre “T” e “S” sono riservati per per processori desktop a basso consumo con e senza una GPU. Infine, una “H”, una “U” e una “M” indicheranno CPU rispettivamente ad alte prestazioni, standard e voltaggi ridotti per portatili.
Detto questo, diamo un’occhiata alle CPU che AMD ha lanciato con la lineup di Ryzen. Ovviamente, ci sono dei tratti in comune tra di essi: la serie Ryzen 7 di punta consiste di CPU con 8 core e 16 threads (sì, AMD ha finalmente implementato il simultaneous multithreading), con una cache L2 di 4MB e una di L3 da 16 MB, col supporto a memorie DDR4 da 2400 MHz. Fate bene attenzione alla pagina dedicata all’analisi delle memorie per un’introspezione dettagliata sul fronte delle RAM.
La differenza principale tra questi tre processori è ovviamente la frequenza, dove il 1800X arriva a 4 GHz di boost (e 4.1 GHz in condizioni particolari di carico e di temperature) con una frequenza base di 3.6 GHz, con un TDP di soli 95 W. Paragonandolo con il mostro di Intel da 1100€ e 140 W, il Core i7 6900K, non è difficile intuire che ci troviamo di fronte al processore 8C16T in questa fascia di potenza più economico e più power-efficient.
Il Ryzen 7 1700X è, a conti fatti, un processore uguale al 1800X, se non per le frequenze, leggermente inferiori, ed il prezzo, inferiore di circa 100€. C’è, in realtà, il fattore implicito che il “fratello maggiore” presenti un binning migliore, portando con sé capacità di overclock superiori, appunto, al 1700X.
Chiude il cerchio del lancio di Ryzen 7 il 1700, con un clock base di gran lunga inferiore ai modelli di fascia superiore, ma con un TDP microscopico di soli 65W (per un processore 8C16T, ricordatelo). Con esso, l’XFR avrà un impatto di soli 50 MHz invece che 100 come sulla serie X, ma il prezzo di soli 379€ (che purtroppo risente del cambio EUR/USD, visto che negli Stati Uniti il Ryzen 7 1700 costa meno del 7700K, situazione purtroppo inversa qui in Europa) dovrebbe sopperire alle frequenze operative inferiori.
Gli sforzi nel marketing di AMD si sono focalizzati sulla discussione prezzo/prestazioni vs le offerte simili di Intel. È più che evidente che Intel non ha fatto altro che trarre vantaggio e speculare dalla sua posizione di comando nel mercato di CPU x86 per tenere i prezzi delle CPU alti e, al contempo, rilasciare soluzioni poco differenti tra loro generazione dopo generazione. Un esempio lampante è il pricing dell’i7 6900K (identico al 5960X al momento del lancio, e di pochissimo più veloce) di ben 1100€ e di quello dell’i7 6950X, che nel nostro paese costa quasi 2000€. AMD, d’altro canto, ha lanciato la serie Ryzen con dei prezzi in grado di destabilizzare completamente il mercato.
Destabilizzante è un gran bel termine, ma mentre per alcuni i prezzi di Ryzen potrebbero sembrare bassi (anche grazie al fatto che Intel negli ultimi anni ha fatto il bello e il cattivo tempo in fatto di prezzi nella fascia Enthusiast), ricordiamoci che la serie Ryzen 7 è l’offerta più costosa di cui dispone l’azienda al momento. Che vi piaccia o meno, però, 549€ per un processore sono ancora TROPPI soldi. Per questo, è probabile che il R7 1700 rappresenterà a lungo il cosiddetto “sweet spot” delle CPU di AMD.
Per quelli abituati all’approccio di AMD sul fronte aggiornamenti, purtroppo, abbiamo una brutta notizia: non sarà possibile mantenere stessa scheda madre e RAM per utilizzare le CPU Ryzen, e sarà necessario l’acquisto di una scheda madre dotata di socket AM4 (PGA 1331) e di memorie DDR4. Al momento, troviamo solo le CPU Ryzen “Summit Ridge” compatibili con tale piattaforma, ma nei mesi a venire anche le APU Raven Ridge (con core Zen e parte grafica basata su architettura Vega) condivideranno le stesse fondamenta basate su AM4. Infatti, molte schede madri già in commercio hanno uscite video in modo da essere compatibili anche con le prossime APU. Ciò sembra essere un passo nella giusta direzione, lontana dalla biforcazione AM3+/FM2 utilizzata negli anni scorsi.
Uno dei problemi, infine, che affliggeva Ryzen 7 al lancio era forse tra i più stupidi: la disponibilità. L’incredibile feedback positivo delle prime review (nonostante qualche difetto qua e là) aveva causato un totale sold-out di tali CPU, ma in questo momento tale situazione sembra essere risolta.