Un nuovo e alquanto interessante progetto è stato inaugurato dalla Microsoft, il quale rivoluzionerà il mondo degli enormi data-center.
Come sappiamo, il principale problema che viene affrontato dai colossi dell’elettronica, sono le infrastrutture in cui vengono installati i grandi data-center dedicati al cloud, enormi da consumare grandi quantità di energia i quali li porta ad un surriscaldamento eccessivo. Al punto che molti di questi aprono nuovi data-center nelle zone più fredde del pianeta, oppure studiano sofisticati sistemi di raffreddamento a basso impatto termico.
Microsoft non ci sta, e inventa una soluzione tanto “semplice” (per dire, ndr) quanto efficace. Il nuovo progetto del colosso di Redmond si chiama Project Natick, il quale risolvere il problema alla radice, ovvero infilando i server in robuste capsule di metallo e buttando tutto a mare, nel senso letterale del termine. Idea che nasce nel 2013 da una proposta di alcuni impiegati, di cui uno con esperienza da sub; la cosa viene tenuta in considerazione finché gli ingegneri non decidono di fare un primo esperimento. Il prototipo messo in campo, Leona Philpot, viene immerso ad agosto del 2014 nelle acque al largo della California e funziona per 105 giorni, molto di più di quanto s’aspettasse il team Natick.
Un progetto che, secondo Microsoft, può risolvere diversi problemi come, uno su tutti, il sistema di raffreddamento; un’altro motivo per cui è stato messo in atto tale progetto, è perché il 50% della popolazione vive vicino alle coste, quindi piazzare un data-center vicino a dove c’è domanda è sicuramente più semplice ed efficiente. Il terzo motivo riguarda la velocità con cui si può realizzare un data-center, che può richiedere solo 90 giorni contro i due anni mediamente necessari ad edificarne uno sulla terraferma.
Il progetto non si ferma qui; alcuni ingegneri immaginano già sistemi in grado di auto alimentarsi grazie alle correnti sottomarine o all’energia dei maremoti.
La grande sfida degli ingegneri non è tanto la struttura, bensì la necessità di intervento umano. Se in quelli terrestri l’accesso dei tecnici per la manutenzione ordinaria è all’ordine del giorno, in acqua non si può dire lo stesso.
Allo stato attuale, Microsoft sta monitorando la situazione costantemente, grazie anche ai molteplici sensori che monitorano non solo lo stato delle macchine, ma anche l’impatto delle capsule sull’ambiente circostante.
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