La vicenda di qualche mese addietro riguardo all’utilizzo scorretto di un’enorme quantità di dati prelevati da Facebook svelata da un’azienda di consulenza e per il marketing online chiamata Cambridge Analytica, è stata oggetto di discussioni e di critiche generate soprattutto dalla maggior parte degli stessi utenti “residenti” nel social network più famoso al mondo.
Eppure, nonostante quello che fu messo alla luce mesi fa dall’azienda di Robert Mercer e nonostante gli sforzi di molte aziende allo scopo di tutelare la privacy degli utenti, come il Regolamento generale sulla protezione dei dati (da ora GDPR), la popolazione, che dapprima criticava Mark Zuckerberg and co., oggi se ne frega altamente della propria privacy. Consapevolezza? Forse. Ignoranza? Probabile, ma ingiustificabile con gli strumenti digitali che ci circondano.
Comunque sia, quello che sta succedendo in questi giorni è la testimonianza di quello appena letto sopra: FaceApp.
FaceApp è l’applicazione tormentone del momento, molto intelligente e potente in grado di rendere un viso, mediamente giovane, invecchiato, con risultati incredibili in pochi secondi. Il tutto grazie ad una elaborazione effettuata su server remoti attraverso modelli addestrati e machine learning. Milioni di utenti, anche profili di una certa importanza, non hanno resistito a condividere una versione di età avanzata della propria faccia con tanto di post increduli, ironici e divertiti.
La domanda che sorge spontanea è: tutti questi utenti sono consapevoli dello scopo di quest’app? Perché una società dovrebbe creare un programma tanto semplice lato “user” quanto complesso lato “developent”? Perché la compagnia russa Wireless Lab, fondata da Yaroslav Goncharov e composta da un team di quattro sviluppatori, hanno scelto di utilizzare le reti neurali per modificare il vostro volto in modo realistico? La risposta è reperibile nella pagina dedicata alla privacy dell’app stessa:
“Raccogliamo i seguenti tipi di informazioni: contenuti dell’utente (ad es. foto e altro materiale) che pubblichi attraverso il servizio. […]
Potremmo condividere contenuti dell’utente e informazioni (inclusi, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, cookie, file di registro, identificativi dispositivo, dati sulla posizione e dati di utilizzo) con le aziende dello stesso gruppo di società di cui FaceApp fa parte o che lo diventeranno (“Affiliate”). Le aziende affiliate possono utilizzare queste informazioni per aiutare a fornire, comprendere e migliorare il servizio (includendo anche l’analisi). Tali società rispetteranno le scelte dell’utente su chi può vedere le foto.
Inoltre, potremmo condividere le tue informazioni tra cui cookie, file di registro e identificatori di dispositivi e dati di posizione, con organizzazioni di terze parti che ci aiutano a fornire il servizio all’utente (“Fornitori di servizi”). […]
Se vendiamo o trasferiamo in parte o interamente la società FaceApp o le nostre risorse ad un’altra organizzazione (ad esempio, nel corso di una transazione come fusione, acquisizione, fallimento, scioglimento, liquidazione), le vostre informazioni e qualsiasi altra dato raccolto attraverso il servizio possono essere venduti o trasferite. Continuerai tuttavia a possedere i tuoi contenuti. L’acquirente o il cessionario dovrà rispettare gli impegni di questa informativa sulla privacy”.
FaceApp è un cancello aperto per la propria privacy, non rispetta il GDPR, la politica della privacy viene accettata dall’utente inconsapevolmente in quanto non viene spiegata in modo chiaro e le stesse foto utilizzate per il funzionamento dell’app vengono tenute praticamente all’infinito.
FaceApp comunque non è l’unica app a non rispettare la legge della privacy. La stessa Google con il suo servizio Foto, Facebook, Instagram. Amazon stessa “regala” 10 euro per chi installa l’estensione Amazon Assistant in cambio di tutta la propria cronologia di navigazione (e non solo), perché quei dati valgono molto di più di 10 euro. Nessuno regala niente.
Magari non stiamo qui a scoprire l’acqua calda, ma è vero che l’atteggiamento incoerente da parte delle persone che prima si schierano contro a chi viola i diritti della privacy e poi utilizzare app inutili per vendersi la propria identità esclusivamente per qualche followers in più non aiutano di certo il GDPRl e tutte quelle compagnie per proteggere i nostro dati personali su internet.
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