Che la scelta di un SSD sia una vera e propria impresa non è certamente un mistero: centinaia, se non migliaia, di scelte popolano infatti le pagine dei maggiori negozi online come Amazon, e senza le opportune ricerche tra recensioni, datasheet di specifiche e pagine prodotto è davvero difficile capire quale SSD sia adatto alle vostre esigenze.
Consci dell’esperienza maturata negli ultimi anni recensendo unità a stato solido, abbiamo quindi deciso di stilare una guida completa di ogni consiglio e suggerimento per distinguere in pochi attimi un “buon SSD” da un “cattivo SSD”, insieme a qualche prodotto particolarmente appetibile sia dal punto di vista delle prestazioni che del rapporto prezzo/velocità, specie in virtù del fatto che a breve ci sarà l’Amazon Black Friday.
Com’è fatto un SSD?
Cominciamo con ordine: da cos’è composto un SSD (Solid State Drive)?
Le componenti principali sono 3:
- Controller: il “cervello” dell’SSD che si occupa di indirizzare i dati nelle celle di memoria e di riorganizzare lo spazio libero durante i periodi di inutilizzo grazie a meccanismi come TRIM e Garbage Collection;
- NAND: i chip di memoria in cui i dati vengono immagazzinati fisicamente i dati;
- Cache DRAM: l’unica componente “opzionale” in un SSD, che mantiene in memoria la mappa della posizione di ogni singolo file.
Come è possibile capire da questa breve e semplice lista, il controller è a tutti gli effetti il processore dell’SSD, ed esso gestisce l’archiviazione dei dati nelle NAND cercando di raggiungere le velocità massime di lettura e scrittura possibili. Facile è immagine che, con un controller più veloce, sarà possibile leggere e scrivere sull’SSD a velocità superiori, anche se la potenza computazionale del controller di un SSD deve andare di pari passo con la velocità di collegamento delle NAND, che svolgono invece la stessa funzione dei dischi magnetici degli Hard Disk.
Al pari dei controller, ci sono differenze prestazionali anche tra i vari tipi di NAND, con la maggior differenziazione che viene fatta nel tipo di NAND utilizzato: SLC, MLC, TLC e QLC.
SLC, MLC, TLC e QLC: l’eterno compromesso tra densità e velocità, tra prezzo e affidabilità
Come abbiamo accennato nel paragrafo precedente, le NAND vengono principalmente suddivise secondo il numero di livelli in cui si può scrivere in una cella (l’unità base di un chip di memoria):
- SLC, Single Level Cell, rappresenta la prima iterazione di chip a stato solido, con la possibilità di salvare un solo bit per cella. Questo tipo di NAND non viene più utilizzato nonostante le elevatissime prestazioni di cui erano capaci, in quanto la densità raggiungibile dagli SSD equipaggiati con questo tipo di NAND era estremamente ridotta.
- MLC, Multiple Level Cell, indica chip a stato solido che presentano la possibilità di salvare 2 bit per cella, raddoppiando la densità di dati rispetto alle NAND SLC a parità di processo produttivo. L’ultimo SSD consumer ad essere prodotto con chip MLC è stato il Samsung 970 Pro, uno dei più veloci SSD PCIe 3.0 mai prodotti che però, a causa dell’utilizzo di NAND MLC, ha raggiunto un limite di capacità di solo 1 TB, senza parlare del fatto che negli ultimi mesi prima che questo SSD andasse in “EOL” (End of Life), costava la modica cifra di 239 €. Allucinante.
- TLC, Triple Level Cell, indica chip a stato solido che possono salvare 3 bit per cella, raddoppiando ancora una volta la densità di dati rispetto alle NAND MLC a parità di processo produttivo. Questa tipologia di NAND è ampiamente utilizzata su SSD che spaziano dalla fascia entry level a quella server-grade, avendo raggiunto un ottimo compromesso tra prestazioni, prezzo, densità ed affidabilità. Gli SSD Gen4 (e anche quelli Gen5 che vedranno il lancio nei prossimi mesi) sono principalmente costruiti intorno a NAND TLC, con le punte di diamante di Samsung, Corsair, ADATA, Sabrent e Western Digital che adottano tutti una loro “variante” di chip NAND TLC.
- QLC, Quadruple Level Cell, indica chip a stato solido che possono salvare 4 bit per cella, raddoppiando ulteriormente la densità di dati rispetto alle NAND TLC a parità di processo produttivo. Sebbene l’andamento delle varie tipologie di NAND abbia permesso un costante aumento di densità e prestazioni con un importante calo di costo/GB con un irrisorio calo di affidabilità, non si può dire lo stesso per i chip QLC, che in virtù della massima densità dati possibile finisce per “compromettere” fortemente l’affidabilità dell’SSD: basti pensare che, ad esempio, un Sabrent Rocket Q da 2 TB (con NAND QLC) ha un TBW (quantità di dati scrivibili garantiti) di 530 TB, mentre il Sabrent Rocket 3.0 da 2 TB (con NAND TLC) ha un TBW di ben 3115 TB. Va inoltre citato il fatto che con carichi di lavoro più importanti, alcuni SSD dotati di NAND QLC raggiungono prestazioni inferiori agli HDD meccanici.
Fatte distinzioni in termini di densità, prestazioni e affidabilità, è bene contestualizzare anche le differenze in costo che tali tecnologie portano: basta pensare ai primi SSD MLC comparsi sul mercato, come l’Intel X25-M che costava addirittura 600$ per soli 80 GB, mentre oggi, per circa 130€, è possibile acquistare alcuni tra gli SSD più veloci da 1 TB: un costo/GB 60 volte più conveniente a fronte di prestazioni e capacità decisamente più importanti, senza però per questo perdere in affidabilità.
Ci sarebbe poi il “piccolo dettaglio” del numero di layer (strati) delle NAND TLC e QLC, con cui però il discorso va a complicarsi facilmente visto che ogni produttore ha raggiunto un numero diverso di layer: 176L per Micron e SK Hynix, 232L per Samsung, 162L per WD/KIOXIA…
Cache DRAM: non è la solita cache
Se avete dimestichezza con il concetto di cache, o buffer, saprete che spesso e volentieri questo termine si riferisce ad una porzione di memoria dedicata a salvare temporaneamente alcuni dati che verranno poi spostati nella loro destinazione finale in un’altra porzione di memoria, spesso fisicamente separata dalla cache stessa. Possiamo infatti ricordare che gli HDD meccanici presentano una piccola memoria di buffer, di solito pari o inferiore a 256 MB, che permette di archiviare pochi dati senza dover interpellare direttamente le parti in movimento di un drive a dischi magnetici, migliorando le prestazioni e l’efficienza energetica nonché la longevità.
Per gli SSD, la cache DRAM svolge una funzione completamente diversa. In essa, infatti, viene immagazzinata la cosidetta mappa dei metadati, una serie di indirizzi di memoria, che comunica direttamente con il file system del sistema operativo per tenerlo costantemente al corrente di dove si trovano i file del vostro PC. Come lascia intendere il nome, questa cache è di solito archiviata in un chip DRAM, lo stesso che troviamo sui classici moduli RAM, e vista la natura volatile è facile dedurre che tale mappa viene caricata ad ogni avvio del PC e aggiornata di continuo.
C’è comunque da dire che la cache DRAM dedicata è una componente opzionale, con la possibilità di avere un SSD “DRAMless” (senza cache DRAM) che sfrutta invece una piccola parte della memoria di sistema per svolgere la stessa funzione tramite la tecnologia HMB (Host Memory Buffer). Non bisogna cadere in inganno, però: avere RAM più veloce nel proprio PC non renderà questi SSD magicamente più veloci, visto che i controller degli SSD non traggono vantaggio dall’utilizzo di cache DRAM più veloce e spesso utilizzano chip con velocità comprese tra i 1866 MT/s e i 2666 MT/s, spesso con latenze disumane.
Va poi specificato che la presenza o meno di cache DRAM non pregiudica le prestazioni di un SSD: ci sono drive sprovvisti di cache DRAM dalle prestazioni particolarmente elevate e drive che invece presentano un chip dedicato per la cache DRAM che invece non brillano particolarmente, anche se a onor del vero la totalità degli SSD classe 7000 MB/s (Samsung 980 Pro/990 Pro, Western Digital SN850/SN850X, Corsair MP600 Pro XT, Sabrent Rocket 4 Plus, ADATA XPG S70 e così via) utilizzano tutti cache DRAM dedicata.
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