ASRock e Ryzen–>
Oggi “shotgun reviews”, con la X370 Gaming K4 pubblicata poche ore fa (QUI la review) e la “gemella” più ordinaria oggi a seguirla a ruota, la X370 Killer SLI, di cui condivide quasi totalmente il layout. Seguendo gli sviluppi delle ultime settimane, saprete benissimo che ASRock ha lanciato tantissime schede madri basate su socket AM4 per le CPU Ryzen. Con i progressi dopo un mese dal lancio di Ryzen 7 (che abbiamo pubblicato QUI alcune settimane fa), abbiamo recensito la scheda madre top di gamma dell’azienda, la X370 Professional Gaming.
Ecco la nostra recensione della ASRock X370 Killer SLI. Buona lettura!
Specifiche tecniche: ASRock X370 Killer SLI–>
Di seguito le specifiche tecniche della scheda madre oggi recensita. Per ulteriori informazioni e per scaricare i driver più aggiornati, vi invitiamo ad andare sul sito ufficiale di ASRock:
Basata ovviamente sul chipset X370 come lascia intendere il nome, la Killer SLI è una scheda madre di fascia media “gemella” della Gaming K4 (da noi recensita QUI), e indirizzata ad un pubblico che vuole un PC dal look più classico, grazie all’adozione di un design bianco e nero.
La scheda supporta qualsiasi CPU basata su Ryzen (Ryzen 3, 5 e 7) e APU (serie Bristol Ridge), con il supporto fino a 64 GB di DDR4 a una frequenza di 3200 MHz, a patto che si rispetti ovviamente la questione RAM spiegata QUI. Visto che sono presenti due slot PCIe 16x meccanici (8x elettrici se usati entrambi, o 16x 0x con una singola scheda), è possibile installare configurazioni GPU 2-Way SLI e CrossFireX.
Le differenze con la X370 Gaming K4 sono il Debug Monitor a doppia cifra (qui assente) e del supporto al software Sound Blaster Cinema 3 (rimpiazzato su questa con il generico software Realtek, con lo stesso ALC1220 a muovere la sezione audio) e, inspiegabilmente, del supporto per la Killer SLI per memorie con frequenza fino a 3200 MHz, dove invece la Gaming K4 si ferma solo a 2933 MHz. Visto che le schede sono virtualmente identiche, sospettiamo che la pagina della Gaming K4 debba essere aggiornata per i progressi ottenuti coi BIOS più recenti, che hanno enormemente aumentato la stabilità dei sistemi Ryzen soprattutto nel sottosistema di memoria.
Ryzen 7: uno sguardo all’architettura–>
Ben cinque anni sono passati dall’ultima architettura high end di AMD (Bulldozer), e un’analisi dell’architettura non può che essere intrisa di aspettative lunghe e dolorose, con reality check particolarmente bruschi nel corso degli ultimi lanci di AMD. Bulldozer, Steamroller, Piledriver e Excavator, come architetture, hanno fallito efficacemente nel ravvivare la speranza in una competizione di qualsiasi sorta con il colosso che Intel è diventato. Allo stesso tempo, il progetto APU Fusion incalzato da AMD prendeva batoste dopo batoste proprio per la mancanza di potenza grezza nel lato CPU di tali unità All-In-One di calcolo.
Nonostante l’enorme sfida che si è presentata davanti, AMD ha perseverato e ha avuto un momento di gioia durante l’ingegnerizzazione di una tecnologia di core che gli avrebbe fatto fare un enorme salto di qualità (e potenza), facendola tornare estremamente competitiva. Ecco oggi che non potrei essere più felice di parlarvi di quest’architettura che, a mio onesto e modesto avviso, è valsa la pena di questi lunghi ma tormentatissimi anni.
Con la prima bozza di progetto di Zen, circa quattro anni fa, AMD aveva impostato un obiettivo incredibilmente ambizioso per il proprio lavoro, ovvero aumentare le IPC (Instructions Per Clock, in soldoni la potenza grezza di un transistor) rispetto ad Excavator di circa il 40%. Potreste essere sconvolti da un numero del genere, ma considerando che Excavator era basata su Bulldozer, un’architettura vecchia di cinque anni al momento del lancio di Exc, un salto del 40% in cinque anni è più che plausibile (e fattibile) nel mondo dell’elettronica.
Ovviamente, un boost del 40% per Excavator, in proporzione a cosa Intel era ed è capace di scatenare com Broadwell (e BDW-E), Skylake e Kaby Lake avrebbe significato mettere i propri processori in diretta competizione con alcune delle migliori CPU sul mercato. Ciononostante, col passare del tempo, c’è stata la graduale consapevolezza che Zen potesse fare anche di più del traguardo prefissato. Il risultato finale, infatti, è un aumento di IPC di ben il 52% rispetto ad Excavator (e a dirla tutta, quest’aumento è basato su SYSMark, benchmark teorico non proprio perfetto. L’aumento effettivo di IPC è più vicino al 60%), abbastanza per superare alcune CPU del team Blu e per instillare nella mente di Intel il dubbio su come procedere per le prossime generazioni di Core i.
Prima ancora del lancio, c’è stata un po’ di confusione nello schema dei nomi dei nuovi processori AMD, quando in realtà è tutto abbastanza semplice. Ryzen è il nome della famiglia di processori che fanno affidamento all’architettura Zen. Il 7 sta a indicare il segmento, con (per il momento) Ryzen 7 a configurarsi come proposta high end dell’azienda, con CPU 8C/16T; altre CPU appartenenti a Ryzen 5 (rilasciate pochi giorni fa) presenteranno varianti a 4C8T e 6C12T a prezzi ancor più competitivi.
Continuando con l’esempio del 1700X, con 1xxx a rappresentare la generazione e il 7 a rappresentare il livelllo di prestazioni, AMD al lancio ha presentato tre CPU serie 1700 e 1800 con “tier” inferiori lanciate pochi giorni fa e tier ancora inferiori (ed economiche) in attesa durante il corso del 2017. Il doppio zero alla fine viene usato come spazio addizionale nel caso ci siano lanci di versioni più veloci nel futuro prossimo.
L’ultima lettera (o la mancanza di essa) in quest’equazione è forse la più importante. Una “X” significa che il processore utilizza la massima implementazione dell’XFR (eXtended Frequency Range) di AMD, mentre la mancanza di una lettera denota un processore desktop per così dire “standard”. Ma non finisce qui: “G” significa che il processore ha una GPU integrata, mentre “T” e “S” sono riservati per per processori desktop a basso consumo con e senza una GPU. Infine, una “H”, una “U” e una “M” indicheranno CPU rispettivamente ad alte prestazioni, standard e voltaggi ridotti per portatili.
Detto questo, diamo un’occhiata alle CPU che AMD ha lanciato con la lineup di Ryzen. Ovviamente, ci sono dei tratti in comune tra di essi: la serie Ryzen 7 di punta consiste di CPU con 8 core e 16 threads (sì, AMD ha finalmente implementato il simultaneous multithreading), con una cache L2 di 4MB e una di L3 da 16 MB, col supporto a memorie DDR4 da 2400 MHz. Fate bene attenzione alla pagina dedicata all’analisi delle memorie per un’introspezione dettagliata sul fronte delle RAM.
La differenza principale tra questi tre processori è ovviamente la frequenza, dove il 1800X arriva a 4 GHz di boost (e 4.1 GHz in condizioni particolari di carico e di temperature) con una frequenza base di 3.6 GHz, con un TDP di soli 95 W. Paragonandolo con il mostro di Intel da 1100€ e 140 W, il Core i7 6900K, non è difficile intuire che ci troviamo di fronte al processore 8C16T in questa fascia di potenza più economico e più power-efficient.
Il Ryzen 7 1700X è, a conti fatti, un processore uguale al 1800X, se non per le frequenze, leggermente inferiori, ed il prezzo, inferiore di circa 100€. C’è, in realtà, il fattore implicito che il “fratello maggiore” presenti un binning migliore, portando con sé capacità di overclock superiori, appunto, al 1700X.
Chiude il cerchio del lancio di Ryzen 7 il 1700, con un clock base di gran lunga inferiore ai modelli di fascia superiore, ma con un TDP microscopico di soli 65W (per un processore 8C16T, ricordatelo). Con esso, l’XFR avrà un impatto di soli 50 MHz invece che 100 come sulla serie X, ma il prezzo di soli 379€ (che purtroppo risente del cambio EUR/USD, visto che negli Stati Uniti il Ryzen 7 1700 costa meno del 7700K, situazione purtroppo inversa qui in Europa) dovrebbe sopperire alle frequenze operative inferiori.
Gli sforzi nel marketing di AMD si sono focalizzati sulla discussione prezzo/prestazioni vs le offerte simili di Intel. È più che evidente che Intel non ha fatto altro che trarre vantaggio e speculare dalla sua posizione di comando nel mercato di CPU x86 per tenere i prezzi delle CPU alti e, al contempo, rilasciare soluzioni poco differenti tra loro generazione dopo generazione. Un esempio lampante è il pricing dell’i7 6900K (identico al 5960X al momento del lancio, e di pochissimo più veloce) di ben 1100€ e di quello dell’i7 6950X, che nel nostro paese costa quasi 2000€. AMD, d’altro canto, ha lanciato la serie Ryzen con dei prezzi in grado di destabilizzare completamente il mercato.
Destabilizzante è un gran bel termine, ma mentre per alcuni i prezzi di Ryzen potrebbero sembrare bassi (anche grazie al fatto che Intel negli ultimi anni ha fatto il bello e il cattivo tempo in fatto di prezzi nella fascia Enthusiast), ricordiamoci che la serie Ryzen 7 è l’offerta più costosa di cui dispone l’azienda al momento. Che vi piaccia o meno, però, 549€ per un processore sono ancora TROPPI soldi. Per questo, è probabile che il R7 1700 rappresenterà a lungo il cosiddetto “sweet spot” delle CPU di AMD.
Per quelli abituati all’approccio di AMD sul fronte aggiornamenti, purtroppo, abbiamo una brutta notizia: non sarà possibile mantenere stessa scheda madre e RAM per utilizzare le CPU Ryzen, e sarà necessario l’acquisto di una scheda madre dotata di socket AM4 (PGA 1331) e di memorie DDR4. Al momento, troviamo solo le CPU Ryzen “Summit Ridge” compatibili con tale piattaforma, ma nei mesi a venire anche le APU Raven Ridge (con core Zen e parte grafica basata su architettura Vega) condivideranno le stesse fondamenta basate su AM4. Infatti, molte schede madri già in commercio hanno uscite video in modo da essere compatibili anche con le prossime APU. Ciò sembra essere un passo nella giusta direzione, lontana dalla biforcazione AM3+/FM2 utilizzata negli anni scorsi.
Uno dei problemi, infine, che affliggeva Ryzen 7 al lancio era forse tra i più stupidi: la disponibilità. L’incredibile feedback positivo delle prime review (nonostante qualche difetto qua e là) aveva causato un totale sold-out di tali CPU, ma in questo momento tale situazione sembra essere risolta.
Ryzen: SenseMI, XFR e tanto altro!–>
Al di là dell’antiquato processo produttivo utilizzato per la loro produzione, la precedente generazione di CPU AMD non ha ricevuto nessun beneficio dai progressi tecnologici implementati nelle successive generazioni di APU. Ricordate, l’allora top di gamma FX-9590 usava una microarchitettura Piledriver vecchia un lustro. Intanto, sia Steamroller che Excavator sono stati lanciati senza alcuna controparte nella serie FX.
Come potete ben immaginare, ciò ha portato Zen ad incorporare un innumerevole quantità di miglioramenti sul fronte dell’efficienza elettrica. O, rifrasando, AMD non cerca di ridurre al minimo i consumi e basta: l’azienda cerca in realtà di ottenere le massime prestazioni mentre minimizza i consumi.
Per ottenere tali obiettivi, le sopracitate tecnologie di clock gating (riduzione del clock a seconda del carico e delle temperature) e adaptive power sono state combinate in tre nomenclature che fanno tutte fede alla tecnologia SenseMI: Pure Power, Precision Boost e XFR.
Proprio come le vecchie iniziative come AMD PowerTune e Enduro, Pure Power monitora le operazioni dei core in tempo reale con centinaia di sensori che rilevano temperature, frequenze e voltaggi. Esso poi ottimizza la reattività del silicio per incrementare l’efficienza in qualsiasi P-State e al contempo permettendo al chip di tornare in idle a velocità di gran lunga superiori.
Mentre l’algoritmo di Pure Power gestisce e monitora adattivamente le varie funzioni dei core, esso lavora fianco a fianco con il Precision Boost per massimizzare le frequenze operative. La parte “Precision” dell’equazione è dovuta all’abilità dell’algoritmo di Boost di ottenere fine-tuning di 25 MHz alla volta, in modo da spremere fino all’ultima goccia le prestazioni della CPU. In aggiunta, ogni core può essere overclockato (o messo a riposo) individualmente a seconda della situazione.
Questi minuti incrementi da 25 MHz lavorano in parallelo con i sopracitati sensori che estraggono dati da ogni core ogni millisecondo. Anche il voltaggio può essere aggiustato al volo in step da 0.6 mV per una granularità ancora superiore. Il risultato finale è un design della CPU che può rispondere in modo estremamente rapido a cambi di carico e le cui frequenze lavorano come quelle di una moderna GPU. Si nota infatti come AMD stia traendo spunto dalle proprie architetture GPU per creare CPU sempre più efficienti.
Arrivati a questo punto dovrebbe essere ovvio che ogni CPU basata su Zen presenterà un range di frequenze che va dal Base Clock al Precision Boost Clock. Tuttavia, AMD non si è fermata qui e ha implementato qualcosa come un’ode agli utenti enthusiast con l’XFR. Il cosiddetto eXtended Frequency Range aumenta così le frequenze in base alla temperatura dei core e quindi premierà soluzioni di raffreddamento superiori tramite l’aumento della frequenza di un singolo core al di sopra del limite massimo del Precision Boost. Questa, è una distinzione molto importante: l’XFR è pensato per workload a singolo thread.
L’XFR è incluso su tutte le CPU Ryzen, ma in maniera diversa. I processori con la “X” avranno un XFR di 100 MHz, mentre tutte le CPU non-X avranno un XFR che aumenterà la frequenza di 50 MHz sotto le giuste condizioni.
Ryzen: addio AM3, benvenuto AM4!–>
La piattaforma di punta di AMD 990FX ha occupato il mercato per la bellezza di sei anni, ma il fatto che sia riuscita a rimanere così tanto tempo in gioco lascia intendere quanto fosse lungimirante già nel 2011. Aveva tantissime linee PCIe (per il tempo) così da rendere l’aggiunta di controller di terze parti semplice, un vasto supporto a RAM di svariate frequenze e un prezzo particolarmente vantaggioso. Ovviamente, alcune revisioni minori come l’aggiornamento a PCIe 3.0 son state aggiunte nel corso del tempo, ma bene o male l’intero ecosistema 990FX ha superato la prova del tempo.
Con Ryzen, arriva un nuovo socket AM4 insieme ad una lineup di chipset aggiornata con delle soluzioni davvero interessanti. Più importante, questi nuovi processori prendono spunto dalle APU dell’azienda, e integrano gran parte delle funzionalità I/O direttamente sul die, agendo quasi da SoC (System-On-Chip).
Anche se non continuerete a leggere oltre, ricordate questa piccola informazione: la piattaforma AM4 è studiata per servire da base sia alle CPU Ryzen che alle prossime APU Raven Ridge. per questo, molte schede madri compatibili integreranno output video nel loro design. AMD inoltre si aspetta che questa piattaforma in particolare venga utilizzata fino al 2020, posto che le tecnologie di prossima generazione come PCIe 4.0 e DDR5 non necessitino un cambio fisico di pin dei processori stessi.
Ogni processore Ryzen 7 dispone di 16 linee PCIe native dedicate al comparto grafico. Su una scheda madre X370 di fascia superiore possono essere configurate sia in una soluzione a singola scheda video con 16x linee dedicate o con una ripartizione su due GPU con 8x linee ciascuna. Questo approccio è esattamente lo stesso utilizzato da Intel sulla piattaforma mainstream serie Z, ma può anche essere considerato come un passo indietro rispetto al 990FX che aveva la capacità di tenere due schede video con 16x linee dedicate sciascuna, al pari della serie Enthusiast Intel serie X.
Questo layout di linee PCIe è in realtà un po’ strano, considerando che AMD ha sempre evidenziato il fatto che venga mantenuto il supporto a 3 o più schede video. NVIDIA nel frattempo si è allontanata dai setup a 3 e 4 schede, decidendo di concentrarsi invece sul supporto di configurazioni a singola e doppia GPU. Alcuni partners potrebbero lanciare schede madri più avanzate con moltiplicatori e bridge PLX ma potrebbe volerci un po’ di tempo.
Ci sono tantissime altre funzionalità qui: AMD ha incluso infatti 4 addizionali linee PCIe esclusivamente dedicate per drive NVMe ad alta velocità o soluzioni di storage SATA e garantendo che essi comunichino direttamente col processore tramite un bus dedicato. Quattro porte USB 3.1 Gen1 (le USB 3.0, insomma) sono inoltre incluse e ciò saranno essenziali nelle schede basate su chipset X300, ma ve ne parleremo nello specifico qualche riga più giù.
Mentre nel processore è presente abbastanza connettività per il fabbisogno minimo, il chipset X370 è il vero e proprio parco giochi quando si parla di questa piattaforma in particolare. Esso è connesso al processore o all’APU tramite un quartetto di linee PCIe per una comunicazione veloce, e include 8 linee PCIe per scopi generici e 2 porte USB 3.1 Gen2 native, insieme a 6 porte USB 3.1 Gen1 e 6 porte USB 2.0. Il supporto a porte USB 3.1 Gen2 nativo è un elemento chiave in quanto non è necessario così aggiungere controller di terze parti, mantenendo quindi i costi ridotti.
Sul fronte delle memorie di massa, c’è un paio di porte SATA Express che è possibile “convertire” in 4 porte SATA 3 standard se il produttore non vuole utilizzare uno standard che, di fatto, è nato morto. Infine, AMD ha aggiunto anche 4 porte SATA 3 native.
Sebbene gran parte di questa pagina sia stata dedicata al chipset di fascia alta X370, ci saranno anche altre opzioni per schede madri che andranno a posizionarsi tutte al di sotto, per features e fascia di prezzo. Ad esempio, il chipset B350 offre funzionalità simili se paragonato all’X370, offrendo comunque il supporto all’overclock. Ciò che viene persa è una parte delle porte SATA e di quelle USB 3.1 Gen1, insieme alla possibilità di partizionare le linee PCIe, rendendo obbligatorio l’utilizzo di una sola GPU.
Il chipset A320 è orientato agli utenti che vogliono creare un sistema budget, e la ragione è semplice: il chipset infatti riceve un enorme taglio sul fronte della connettività, ed è facile aspettarselo da un chipset indirizzato ai mercati emergenti.
A mio avviso l’aggiunta più interessante a questa lineup proviene dal fondo del grafico, dove sono presenti i due “chipset” dedicati alle schede Small Form Factor. Questa è la prima volta in cui vengono dedicati chipset appositamente per piattaforme mATX e ITX e le modalità tramite le quali AMD ha raggiunto tale scopo sono particolarmente interessanti. Visto che le CPU Ryzen 3, 5 e 7 presentano tutte funzionalità I/O base al loro interno (porte USB 3.1 Gen1 e 4 linee PCIe dedicate alla bandwidth per il reparto storage) e che i sistemi mini ITX di solito non richiedono molte unità di storage, AMD ha deciso di revisionare il design dei suoi “chipset”.
Questa revisione è estrema, in realtà, ed è la spiegazione per cui ho scritto “chipset” e non chipset finora, quando parlavo di X300 e A300: su queste schede madri il chipset è totalmente assente, e le 4 linee PCIe di solito utilizzate per comunicare con esso vengono indirizzate direttamente a controller di terze parti per connettività aggiunta. Qui è dove entra in gioco anche il nuovo codec di Realtek ALC1220, che troviamo anche su schede madri Z270, capace di fornire un’esperienza sonora di tutto rispetto in una soluzione dallo spazio ridotto come può essere un sistema ITX.
Ryzen: memorie DDR4, il tallone d’Achille di Zen?–>
Negli oscuri tempi in cui ogni modulo RAM aveva un PCB verde e nessun dissipatore, potreste aver notato che sulle etichette di quei moduli c’erano informazioni extra del tipo “1Rx8, 2Rx8, 1Rx4” e via discorrendo. Tale informazone è nel tempo scomparsa dai kit orientati ai consumatori (e non al lato server) grazie a memory controller di qualità superiore che supportavano un range supoeriore di configurazioni RAM. Purtroppo, con Ryzen, quelli che vorranno utilizzare 4 moduli di memoria dovranno “fare i compiti”.
Ciò è spiegabile facilmente grazie a questa tabella:
Channels | Rank memorie | Numero di moduli | Frequenza |
Dual | Dual | 4 | 1866 MHz |
Dual | Single | 4 | 2133 MHz |
Dual | Dual | 2 | 2400 MHz |
Dual | Single | 2 | 2666 MHz |
Il punto chiave qui è il RANK, che è un modo semplice di indicare quanti chip di memoria sono raggruppati insieme per formare un’interfaccia da 64 bit su un modulo di memoria. Raggiungere un bus da 64 bit è importante perché i moderni processori mainstream hanno due (o quattro, nel caso della piattaforma X79 e X99) bus di memoria da 64 bit, meglio noti anche come dual channels, un canale per ogni gruppo di due slot.
Al momento, la configurazione rank più comune è formata da 8 chip di memoria (ognuno connesso tramite 8 bit) collegati insieme in un rank, e tipicamente (ma non sempre) posizionati su un solo sato del PCB di un modulo. Ma cosa fare se serve creare moduli dalla capacità superiore quando si hanno solo chip di memoria a 8 bit? Bisogna separare i chip di memoria in due gruppi/rank, ognuno dei quali è largo 64 bit e che richiede un accesso asincrono (ovvero, non si può accedere contemporaneamente a tutti i ranks). In questo modo, avete creato un modulo di memoria dual rank.
Per i consumers, il rank è un termine che crea a volte confusione, specialmente quando un modulo è etichettato come 1Rx8 o 2Rx8. Il numero prima di R indica il numero di rank – single, dual o addirittura quad – e il numero dopo la x indica l’ampiezza del bus che collega ogni chip, che può essere x4, x8 o x16. Per i nostri scopi, possiamo tranquillamente escludere sia i quad rank che l’ampiezza x4 visto che sono elementi che troviamo solo su memorie registered ECC indirizzate ad ambienti server o workstation. Inoltre, possiamo anche escludere i chip x16, visto che è praticamente impossibile trovare produttori noti che li utilizzino.
Quindi essenzialmente, un modulo di memoria con un’etichetta riportante 1Rx8 ha un single rank e usa 8 chip di memoria x8, laddove uno con 2Rx8 sull’etichetta è dual rank e usa comunque chip di memoria da 8 bit. Lo svantaggio di utilizzare moduli dal rank superiore è che le CPU moderne hanno memory controllers che possono gestire un numero massimo di rank.
Aumentare il numero di rank che necessitano di essere gestiti aumenta di conseguenza il carico sul memory controller e di conseguenza diminuisce la frequenza a cui riesce a gestirle… e questo è quel che vediamo nella tabella qui sopra. Chiaramente, Ryzen ha un memory controller più debole rispetto a quello che troviamo nei processori Intel Kaby Lake. Come paragone, tali CPU Intel supportano nativamente quattro moduli dual rank ad una frequenza DDR4-2400, e visto che Intel è estremamente conservativa sul fronte delle memorie, può in realtà gestire tali moduli a velocità fino a 3600 MHz. Forse anche AMD vuole avere un approccio conservativo, ma stando a quanto riportato nell’ultimo mese, c’è una vera e propria silicon lottery riguardo ai memory controller di Ryzen 7, con la maggior parte dei processori che ha difficoltà a gestire kit dual rank con frequenze superiori a 2400 / 2666 MHz.
Come si evitano kit di memorie dual rank? Be, innanzitutto, molti produttori di memorie sta lanciando kit specifici per AMD. Tuttavia, ci sono anche altri modi per determinare se abbiamo memorie single rank o dual rank, e tale informazione è accessibile a chiunque abbia memorie DDR4.
Una cosa che si può fare è aprire AIDA64, espandere la sezione “Scheda Madre” e cliccare su SPD:
Come vedete, il nostro kit (da notare, lo screenshot è stato catturato su piattaforma X99, per questo trovate 4 canali, A1 – B1 – C1 – D1) presenta moduli dual rank da 8 GB, e infatti, nei nostri test, non siamo riusciti ad andare oltre i 2666 MHz, visto che abbiamo utilizzato due moduli da 8 GB in configurazione dual rank/dual channel.
Un altro modo è semplicemente interpretare i ranks come “sides”. Sebbene i due termini non siano collegati da un punto di vista teorico, in realtà essi quasi coincidono. Dando un’occhiata a questa memory support list (.PDF) di una qualsiasi scheda madre Gigabyte Z270, potete notare che la quasi totalità di kit single rank è anche single side. Ci sono ovviamente eccezioni, ma sono rare e perlopiù trovate in kit OEM, insomma, nei kit col PCB verde venduti a pochi soldi.
Dal punto di vista del consumatore, non c’è motivo di acquistare moduli dual rank, a meno che non si necessiti di moduli da 16GB; in tal caso, non avrete altre opzioni. Qualcuno potrebbe dire che qualche volta i moduli dual rank sono in qualche modo più veloci (bandwidth leggermente superiore grazie ad interconnessioni migliori, al prezzo di latenze superiori), ma il fatto che essi siano più difficili da trovare e che possano fare da collo di bottiglia in OC li rende un’opzione poco attraente.
Ciò lascia purtroppo chi compra Ryzen nella sfortunata situazione di dover andare “a tentativi” durante l’assemblaggio del proprio sistema. Per andare sul sicuro, vi consigliamo kit da 16GB dual channel fino ad un massimo di 2666 MHz o da 32 GB dual channel che non eccedano una frequenza di 2400 MHz. Memorie a velocità superiori possono (e lo faranno) causare problemi di boot.
Galleria fotografica: ASRock X370 Killer SLI–>
Ecco una serie di immagini che ritraggono la X370 Killer SLI:
Configurazione di sistema e metodologia di test–>
La configurazione utilizzata per i test è la seguente:
CPU | AMD Ryzen 7 1800X |
---|---|
Heatsink | Be Quiet! Silent Loop 240 mm |
Mainboard | ASRock Fatal1ty X370 Killer SLI |
RAM | Corsair Vengeance LPX DDR4 3000 MHz 16 GB |
VGA | MSI Radeon RX 470 Gaming 4G |
Sound Card | Creative SoundBlaster E5 DAC & AMP |
HDD/SSD | Patriot Hellfire 240 GB M.2 NVMe SSD |
PSU | Corsair AX1500i Digital PSU |
Case | Be Quiet! Dark Base Pro 900 |
Monitor | Acer CB280HK 4K Display |
Keyboard | Corsair Gaming STRAFE RGB Cherry MX Silent |
Mouse | Razer Naga Hex V2 |
OS | Windows 10 Pro x64 Creators Update |
Benchmark sintetici:
- SuperPI 1.5 mod XS 1M e 32M
- WPrime 1.55 32M e 1024M
- Cinebench R11.5
- Cinebench R15
- AIDA64 Photoworxx
- AIDA64 ZLib
- AIDA64 AES
- AIDA64 Hash
- AIDA64 VP8
- AIDA64 SinJulia
Benchmark grafici:
- Ashes of the Singularity, preset Crazy, 1080p, benchmark CPU Focused (DX12)
- GTA V, impostazioni di qualità massime, 1080p (DX11)
- 3DMark Fire Strike (DX11)
- 3DMark Time Spy (DX12)
Benchmark sintetici: AIDA64–>
AIDA64 è uno strumento di analisi, diagnostica e benchmarking per sistemi Windows (e più recentemente, Android), che dispone di una vastissima suite di benchmark e che è diventato, nel tempo, un software di riferimento tra utenti e professionisti per il moitoraggio e il confronto di tutto l’hardware all’interno del proprio PC.
CPU Photoworxx
Questo benchmark esegue diverse operazioni comuni utilizzate durante il fotoritocco. Per la precisione, esegue un numero di operazioni di modifica su un’immagine RGB molto larga.
Questo benchmark stressa le unità SIMD della CPU e il sottosistema delle RAM. CPU Photoworks usa laddove presenti le librerie di istruzioni x87, MMX, MMX+, 3DNow!, 3DNow!+, SSE, SSE2, SSE3, SSE4.1, SSE4A, AVX, AVX2 e XOP e trae beneficio di NUMA, HyperThreading, sistemi multiprocessore e multicore.
CPU ZLib Benchmark
Questo benchmark integer misura le prestazioni combinate di CPU e memorie tramite la libreria di compressione open source ZLib. Il test CPU ZLib utilizza solo le istruzioni base x86 ma ciononostante è un buon indicatore delle prestazioni generali del sistema.
CPU AES Benchmark
Questo benchmark misura le prestazioni della CPU utilizzando la crittografia dati AES (Advanced Encryption Standard). In crittografia, AES è uno standard di crittaggio a chiave simmetrica, ed è utilizzato in svarati strumenti di compressione come 7-zip, WinRAR, WinZIP e anche in soluzioni di encrypting come BitLocker (Windows), FileVault (Mac OSX) e TrueCrypt (open source). Il test AES Benchmark usa le appropriate istruzioni x86, MMX e SSE 4.1, ed è accelerato a livello hardware su processori abilitati tramite il set di istruzioni AES-NI. Questo test rileva e sfrutta HyperThreading, sistemi multiprocessore e multicore.
CPU Hash Benchmark
Questo benchmark misura le prestazioni CPU utilizzando l’algoritmo di hashing SHA1 definito nella FIPSPS 180-3. Il codice dietro questo benchmark è compilato in Assembly, e più importante, utilizza librerie di istruzioni MMX, MMX+, SSE, SSE2, SSSE3 e AVX, con prestazioni superiori su processori che supportano tali instruction sets.e on supporting processors.
FPU VP8 / SinJulia Benchmarks
Il benchmark di AIDA FPU VP8 misura le prestazioni di compressione video utilizzando il codec di Google VP8 (utilizzato per i file WebM) aggiornato alla versione 0.9.5 e stressa l’FPU (Floating Point Unit) della CPU. Il test codifica fotogrammi video dalla risoluzione di 1280×720 in 1 pass ad un bitrate di 8 Mbps con impostazioni di qualità massima. Il contenuto dei fotogrammi viene poi generato dal modulo FPU Julia. Il codice che gestisce questo benchmark utilizza librerie MMX, SSE2 e SSSE3. SinJulia, invece, misura le prestazioni in floating point a precisione estesa (conosciuta anche come 80-bit) tramite il calcolo di un singolo fotogrammi di un frattale “Julia” modificato. Il codice di questo benchmark è scritto in Assembly, e utilizza istruzioni trigonometriche ed esponenziali x87.
Benchmark sintetici 2D: SuperPI e WPrime–>
SuperPI
Un metodo tradizionale per verificare le prestazioni del proprio PC è utilizzare SuperPI mod 1.5 XS: il programma si occupa di calcolare dalle 16k ai 32M di cifre dopo la virgola del π, con una scalabilità clock per clock davvero sorprendente per un programma creato nel 1995. Il programma calcola l’efficienza single-threaded piuttosto che quella multithreaded:
WPrime
Insieme al calcolo delle cifre dopo la virgola del π, un altro metodo valido per verificare le performance del proprio PC è utilizzare WPrime, da noi usato nella versione 1.55 (la stessa valida per i benchmark di HWBot), che consente di trovare dai 32M ai 1024M di numeri primi. Il programma scala enormemente in presenza di CPU multi-core, rappresentando un valido benchmark per il calcolo dell’efficienza multithreaded:
Benchmark sintetici: Cinebench R11.5 e Cinebench R15–>
Cinebench R11.5 e R15
Come da tradizione (e in questo caso particolare, utilizzarli è obbligatorio, come vedrete), fanno capolino tra i benchmark con cui testiamo le prestazioni di un sistema anche le ultime due release di Cinebench, rispettivamente la R11.5 e la R15. Entrambi i test utilizzano un approccio simile di testing: i benchmark utilizzano svariati algoritmi per stressare tutti i core disponibili per renderizzare una scena 3D fotorealistica nel minor tempo possibile. In particolare, con il benchmark nella versione R15, la scena del test contiene approssimativamente 2000 oggetti contenenti più di 300’000 poligoni totali, e usa riflessi sia definiti che sfocati, ombre e luci a zona, shaders procedurali, antialiasing e tanto altro ancora. Questo benchmark può effettuare misurazioni fino ad un massimo di 64 threads, con il risultato che viene fornito in punti (Points): ovviamente, più punti totalizzate, più potente sarà il vostro sistema:
Benchmark 3D: 3DMark, GTA V, Ashes of the Singularity–>
3DMark Fire Strike e Time Spy
In concomitanza con il lancio di Windows 8, Futuremark ha lanciato il nuovo 3DMark, chiamato appunto 3DMark, senza alcun numero riconoscitivo, a segnare la forte integrazione che ha con qualsiasi sistema, da Android a Windows a iOS a OSX, dando per la prima volta la possibilità di paragonare le prestazioni su smartphone e PC fisso in maniera schematizzata e professionale. Il benchmark dispone di svariati test, di cui utilizziamo i più intensivi per mettere alla prova le schede video.
Tra questi, il più impegnativo è il Fire Strike, che spinge la tessellazione a livelli davvero elevati, e che “vanta” due versioni ancora più spinte: Extreme (con scene pre-renderizzate a 2560×1440) ed Ultra (scene pre-renderizzate a 3840×2160, ovvero 4K). Purtroppo, a nostra disposizione
Recentemente, invece, è stato introdotto il benchmark Time Spy, che testa le prestazioni delle GPU sfruttando le nuove API Microsoft DirectX 12, con scene pre-renderizzate a 2560×1440:
Ashes of the Singularity
Ashes of the Singularity è quello che Stardock (la software house creatrice del gioco) definisce come un gioco strategico di warfare planetario, e con le sue mappe enormi e le migliaia di unità a schermo durante i combattimenti full-scale, non si può far altro che dare ragione all’azienda.
Ciò che viene spesso associato ad Ashes è l’incredibile onere che applica ai sistemi grafici (e non solo, il gioco è famelico di core e GHz), tramite l’utilizzo di DirectX 11 e 12. Il preset Crazy è in grado di mettere in ginocchio qualsiasi GPU in commercio già alla risoluzione Full HD. Il gioco si avvale del supporto alle tecnologie AMD, prendendo spunto dal motore grafico Nitrous utilizzato in uno dei primi benchmark per Mantle, Star Swarm:
Grand Theft Auto V
Grand Theft Auto. Una saga che affonda le sue radici nel sangue e nella violenza in visuale dall’alto e 2 dimensioni, e che nell’ultima iterazione, attesa per ben 8 lunghissimi anni dagli utenti PC. Nel 2015, dopo ben 8 anni di attesa (per gli utenti PC), GTA V ha visto la luce sugli schermi dei computer di tutti i videogiocatori, distruggendo record su record in vendite e profitti.
Un approccio totalmente diverso, quello per la storia: tre personaggi controllabili, ognuno più folle dell’altro, tra mafia, sparatorie, esplosioni e rapine spettacolari. Il gioco è ottimizzato per schede video NVIDIA, presentando il supporto a tutti i GameWorks dell’azienda eccezion fatta per gli Hairworks. Ad alte risoluzioni, il gioco è un vero e proprio campo di battaglia dove testare le schede video più potenti. Altro dettaglio importante, che ci ha fatto scegliere GTA V come bench nel roster di benchmark che utilizziamo, è la gravosità che il titolo di Rockstar ha sui processori, risultando particolarmente “agile” su configurazioni fino a 8 core, scalando il carico in modo efficiente su tutti i thread presenti:
Considerazioni finali–>
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[titolo]Design e qualità costruttiva[/titolo]
Al pari della Gaming K4, la Killer SLI presenta un nuovo design che però non prende spunto da alcuno stile già esistente dell’azienda (ricordiamo che in precedenza le motherboard della serie Killer facevano parte della lineup Fatal1ty, mentre adesso sono praticamente una versione “redux” delle Taichi), con il bianco e il nero a farla da padrona come sulla Taichi, scheda di cui questa è la versione economica, così come la Gaming K4 lo è per la Professional Gaming.
Sono presenti anche qui 3 header RGB (uno dei quali per dissipatori Wraith Max e Spire) con cui gestire l’illuminazione di tutto il sistema senza dover ricorrere a controller di terze parti. Ovviamente, anche in questo caso troviamo illuminazione RGB intorno al dissipatore del chipset, e anche in questo caso durante i test sotto sforzo i dissipatori delle fasi sono diventati abbastanza bollenti, segno che il trasferimento termico funziona alla grande dalle fasi ai blocchi in alluminio autorizzati a raffreddare i MOSFet.
Certo è che rispetto al classico abbinamento rosso/nero è più difficile trovare componenti che seguono gli stessi colori, ma è anche vero che il bianco e il nero sono colori abbastanza neutrali che vanno bene con qualsiasi componente.
[voto=”9″]
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[titolo]Performance e overclock[/titolo]
Non avendo (ancora, ce l’abbiamo qui ma la review uscirà settimana prossima) provato la X370 Taichi, non possiamo paragonarla alla Killer SLI che è in pratica la versione spogliata delle features “extra”, ma possiamo paragonarla benissimamente alla gemella da gaming, la Gaming K4 appunto: prestazionalmente parlando, ci troviamo di fronte a valori simili, che rientrano nel classico “margino d’errore” e variabilità da un test all’altro. Quello che abbiamo notato è che la X370 Killer SLI va un po’ meglio con le prestazioni Single Thread, dove invece la Gaming K4 riesce ad andare avanti nel Multi Thread.
Anche in questo caso, sotto il profilo dell’overclock, abbiamo raggiunto stabilmente e con facilità i 4.0 GHz, con i 4.1 GHz che volevano più volt rispetto a schede di fascia superiore, mentre sul fronte delle RAM nessuna differenza, a confermare che le specifiche dichiarate superiori (rispetto alla Gaming K4) siano semplicemente più aggiornate rispetto alla “gemella cattiva”.
[voto=”8″]
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[titolo]Compatibilità e connettività[/titolo]
La scheda madre è ovviamente compatibile con tutte le CPU Ryzen e Summit Ridge (CPU e APU), con il supporto nativo a Ryzen 3 e 5 anche senza aggiornamento BIOS (visto che questi ultimi sono Ryzen 7 con core disattivati). Lato RAM, vediamo il supporto a fino a 64 GB di RAM su 4 slot, con una frequenza massima di 2933 MHz (limiti massimi non raggiungibili insieme).
Lato storage, 6 porte SATA 3.0 e 2 porte M.2, con velocità di 32 Gbps, rendono le possibilità di installazione pressoché illimitate; la scheda inoltre presenta due header per strisce LED RGB (più uno addizionale per dissipatori AMD Wraith Spire o Max) e due header USB 3.0, cosa non molto comune sulle controparti Intel dove di solito ne troviamo soltanto uno.
[voto=”9″]
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[conclusione]
[titolo]Prezzo[/titolo]
Il prezzo della scheda madre è paragonabile a quello della Gaming K4, con la Killer SLI che costa solo 5€ in meno: 169.35€ presso Amazon (QUI il link per acquistarla tramite nostro referral), con un rapporto qualità/prezzo ottimo e migliore anche della Gaming K4.
Come al solito, vi invitiamo ad acquistare presso i rivenditori ufficiali ASRock, in quanto pur presentando un prezzo superiore ai VAT Player (coloro che evadono l’iva tramite meccanismi al limite della legalità), forniscono supporto post-vendita/RMA, cosa che suddetti rivenditori non ufficiali non garantiscono.
[voto=”10″]
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Visto che ci troviamo di fronte ad un modello con pochissimo in meno rispetto alla X370 Gaming K4, e con un prezzo pochissimo inferiore, diamo alla X370 Killer SLI lo stesso voto della “sorella da gaming”, ovvero il nostro Hardware Platinum Award:
Per oggi è veramente tutto, ringraziamo ASRock per il sample oggi recensito.
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La recensione
ASRock X370 Killer SLI
La ASRock X370 Killer SLI è la "gemella" della Gaming K4, con un design più classico e qualche feature in meno per renderla più economica.
Pro
- Prezzo competitivo ancor più della Gaming K4 di cui è gemella
- Tanti header RGB per quelli che vogliono personalizzare al meglio il proprio sistema
- Design classico e illuminazione RGB, per adattarsi a qualsiasi abbinamento cromatico
Contro
- In overclock non è il meglio che si possa comprare
- I BIOS non hanno ancora risolto i problemi di Ryzen con le RAM
ASRock X370 Killer SLI Prezzi
Raccogliamo informazioni da vari negozi per indicare il prezzo migliore
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